Nei secoli XVI e XVIII esistevano e fiorivano nel paese di Savignano due biblioteche: una comunale, l'altra dell'Accademia, che furono unite in un'unica sede, amministrate e ampliate sin dal primo Ottocento dalla Rubiconia Accademia dei Filopatridi.
Nel 1801, sorse per opera degli intellettuali locali Perticari, Boghesi e Amati, l'Accademia Rubiconia dei Filopatridi, che va considerata come una restaurazione e un riordinamento dell'Accademia preesistente, quella degli Incolti, che sorse nel XVII secolo. Ebbe sue leggi e ordinamento pastorale, traendo dal greco il suo nome di Simpemenia, adunanza di pastori.
Giosuè Carducci fu per 20 anni presidente della Accademia Rubiconia dei Filopatridi e fu poi nominato Presidente onorario perpetuo. 60mila volumi, 400 manoscritti, 20 incunaboli, 69 cinquecentine, 49 edizioni Bodoniane, oltre a 450 autografi, costituiscono il patrimonio bibliografico dell'attuale Biblioteca che mano a mano è andata arricchendosi di opere moderne per rispondere alle richieste di studiosi e studenti interessati alla consultazione. La fervida attività dell'Accademia e gli autorevoli intellettuali che animarono la vita culturale di Savignano nel XIX le fecero meritare l'epiteto di Atene di Romagna.
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Savignano è sede della casa discografica Casadei Sonora, in cui sono, tra l’atro custoditi gli spartiti originali dell’inno “Romagna Mia” composto dal Maestro Secondo Casadei. La figlia del Maestro, Riccarda Casadei, cura personalmente le visite, gratuite e aperte al pubblico, in questa casa dei ricordi, specchio di un recente passato a cavallo tra le due guerre mondiali.
Recentemente la figura del grande Maestro è stata oggetto di indagini che hanno dato vita ad un interessante progetto: un film documentario dedicato alla sua vita e al suo tempo, “L’uomo che sconfisse il Boogie”, presentato nel mese di giugno 2006, in anteprima proprio a Savignano.
Nella casa, appartenuta storicamente alla famiglia Casadei, si possono ripercorrere gli anni in cui erano in voga le balere con le orchestre, che rappresentano anche un interessante spaccato culturale dell’Italia del secondo dopoguerra. È possibile ascoltare e scoprire brani celebri del grande Maestro.
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Il Castello si trova sulle prime colline verso Sogliano al Rubicone. Si pensa che il toponimo di Ribano derivi dal latino robinus, nome di una pianta da cui si ricavavano colori per la tintura. Le prime notizie che citano un Castrum Gaii o Gabii, risalgono al 1037. In quell'anno Corrado I fece dono della primitiva costruzione al Monastero di S. Apollinare in Classe. Fino ai primi anni del '500 in quel luogo, dove nel frattempo era stata eliminata la costruzione fortificata, sappiamo dell'esistenza di un piccolo oratorio di competenza riminese. I monaci di Classe tornarono in possesso del luogo, e verso il 1580 eressero una costruzione per metà fortezza e per l'altra metà convento, ove i monaci stessi erano soliti passare alcuni periodi dell'anno in virtù dell'aria più salubre delle colline. Oltre che alla vita spirituale, i monaci erano dediti anche ad attività agricole, in particolare alla coltivazione della vite, negli oltre trenta poderi (circa 300 ettari) nei territori limitrofi alla città di Savignano. Il Castello con la Rivoluzione Francese cambiò diversi proprietari, fino al Conte Gioachino Rasponi, nipote del re di Napoli, e, attraverso diversi matrimoni, all'attuale proprietario dottor Giovanni Colonna Principe di Paliano, nipote del Conte Gianbattista Spalletti. La misteriosa origine del castello ha alimentato una serie di racconti, a metà tra storia e leggenda. Si dice, infatti, che gli abitanti delle zone circostanti chiudessero le figlie femmine in casa, quando avevano certezza dell'arrivo dei frati da queste parti. A quanto pare i frati, comunque, non hanno mai cessato di frequentare queste generose terre e continuano ad apparire di notte, forse proprio per sorprendere i coloni delle campagne circostanti. Il Castello oggi è sede dell'importante azienda vitivinicola Spalletti, che produce e vende vini tipici della Romagna e olio. Recentemente è stata costruita una moderna cantina, che affianca l'imponente mole del castello, la cui corte viene anche utilizzata per ricevimenti e feste.
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La bella Chiesa dedicata al culto di San Salvatore fu voluta dalla Confraternita savignanese del SS. Sacramento, compagnia assai impegnata nella cura delle anime, ufficialmente riconosciuta da Papa Paolo III nel 1539. La Confraternita acquistò nel 1644 due case che si affacciavano sulla piccola piazza (oggi Piazza Amati), compresi i cortili e gli orti, insieme ad un'altra casa destinata a casa del cappellano. Un'altra Confraternita di grande importanza, quella del Suffragio, trasferì la propria sede dalla Chiesa di S. Lucia a quella di S. Salvatore, che in tal modo divenne sede congiunta delle due importanti associazioni laiche che fecero di questo luogo un importante centro di vita religiosa e sociale, ottenendo anche il permesso di seppellire i propri defunti nei grandi sotterranei del luogo di culto. Le Confraternite godevano di importanti benefici e, grazie ai lasciti di privati cittadini, disponevano di un ingente numero di immobili e fondi utilizzando i quali poterono abbellire la chiesa. Quel che oggi possiamo vedere, infatti, è solo una piccola parte dell'importante patrimonio di opere d'arte di cui doveva essere dotata. Secondo una visita pastorale del vescovo di Rimini nel 1726, la Chiesa, dotata di quattro altari, era arricchita di stucchi e tavole dipinte, stalli in noce del coro e due confessionali di legno pregiato. Solo la bufera napoleonica impose lo scioglimento delle due Compagnie, imponendo anche il divieto di sepoltura all'interno degli edifici di culto. La Chiesa è stata restaurata in anni recenti e seppur più spoglia di un tempo, si presenta con uno stile rinascimentale di grande eleganza.
Nella chiesa è collocato dal 1766 un pregevole organo Nacchini-Dacci.
L'edificazione della Chiesa è legata ad un fatto miracoloso: nel luogo ove sorge attualmente, esisteva nel XV secolo una piccola cappella votiva, che custodiva un affresco donato dal devoto Giacomo Manini e che raffigurava la Vergine con il Bambino in braccio. Un gruppo di pellegrini avrebbe visto apparire alla vigilia del giorno della SS.Trinità un globo di fuoco che scendeva dal cielo sulla cappella e la Madonna dell'affresco cominciare a piangere. Il fatto miracoloso spinse i cittadini a costruire una Chiesa più grande al posto della piccola cappella,la costruzione venne terminata nel 1563.Il Comune decise di affidare l'amministrazione dell'edificio ad una congregazione religiosa, i Gerolomini del Beato Pietro da Pisa, che si insediarono in un nuovo convento, proprio di fianco alla Chiesa.Nel 1766 la Chiesa, bisognosa di restauri, fu ricostruita. Pietro Borboni si occupò dell'esterno, mutando anche l'ordine degli altari,all'esterno furono sistemate alcune sculture in stucco elaborate da Carlo Sarti, detto il "Rodelone", nelle nicchie in facciata. La volta dell'interno, decorata a colori nitidi da Giuseppe Milani, rappresenta la Vergine del Carmine, e fu commissionata dalla Compagnia del Carmine. La Chiesa a pianta centrale, con pregevoli stucchi, presenta oggi tre altari decorati con altrettante pale d'altare.Nella sagrestia è stato riparato l'affresco miracoloso della Pietà, di autore anonimo. Nel medesimo vano si trova anche il famedio di uno dei personaggi appartenenti alla Compagnia del Carmine, importante esponente della cultura savignanese, G.A. Perticari, datato 1780. Dopo la soppressione napoleonica degli ordini monastici, il monastero dei Gerolomini fu acquistato dal Comune e adattato a nuova funzione, quella di Ospedale Civile cittadino, con la Chiesa annessa.
La chiesa fu edificata sul poggio in cui venne costruito il castello vecchio di Savignano, per comodità della popolazione che vi abitatava; la più antica testimonianza della chiesa risale al 1232. Dipendente all'inizio dalla chiesa di San Giovanni, fu elevata a parrocchia e dedicatata alla Natività di Maria nel 1550. Nel Cinquecento la Chiesa era dotata di sei altari in uno dei quali era conservata un'antica immagine della Madonna. La chiesa fu rinnovata nel Settecento. Pesantemente lesionata durante l'ultimo conflitto bellico è stata successivamente restaurata.
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Secondo la tradizione la Chiesa attuale deve il suo nome al giorno in cui si decise la costruzione del nuovo Castello di Savignano, il 13 dicembre 1359, giorno dedicato al culto di Santa Lucia, la martire uccisa durante le persecuzioni di Diocleziano e protettrice della vista. Lo stesso giorno venne decretata anche la costruzione della Chiesa. Le fonti non forniscono notizie dettagliate sull'anno di inizio dei lavori, anche se la campana più antica che si trova nell'edificio, riporta incisa la data del 1379. La Chiesa fu più volte demolita e ricostruita e dotata di battistero nel 1541. All'interno venivano gelosamente custodite alcune reliquie di S. Apollinare. A metà del '700 vennero promossi i nuovi lavori per la costruzione di questo importante edificio e nel 1749 si tenne la messa inaugurale. L'interno della Chiesa si presenta a navata unica, di grandi dimensioni con cappelle laterali. Gli altari laterali sono dedicati a S. Pietro e a S. Francesco di Paola, al SS. Crocifisso e alla Beata Vergine del Rosario. Nel 1758 per volontà del Collegio dei Canonici, insediatisi in maniera definitiva presso la nuova chiesa, vennero sistemati nell'abside gli eleganti scanni, opera del riminese Giovanni Rinaldi. Nel 1760 sopra la porta principale furono sistemati la cantoria in legno e l'organo.
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Come molte città italiane, anche Savignano aveva un Monte di Pietà, che nacque con scopi sociali e caritativi e per contrastare il fenomeno dell’usura. Il Monte prestava denaro in cambio di un pegno e il Monte di Pietà venne arricchendosi grazie alla generosità di cittadini che donarono alcuni terreni, che divennero parte del patrimonio del Monte stesso. Con la dominazione dei Rangoni di Modena il Monte ottenne il permesso per esercitare la propria attività, anche se l’inaugurazione ufficiale avvenne solo nel 1581. Nel 1617 il Monte di Pietà ebbe una sede definitiva, quella che possiamo vedere ancora oggi. Il portale in pietra, infatti, ben conservato ricorda la funzione di questo luogo: “Sacer Mons Pietatis”. Questo luogo, perfettamente restaurato, è oggi sede della biblioteca dei ragazzi.
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Il complesso architettonico risale al XV secolo; inizialmente si trattava di un oratorio che fu sostitutito da una più ampia chiesa chiesa occupata dai Minori Osservanti i quali abbandonarono il luogo in seguito alle soppressioni napoleoniche. Parte del complesso fu acquistato dal conte Gaetano Martuzzi che, tuttavia, ne decretò anche la caduta in stato di degrado. Il palazzo all’inizio del ‘900 fu sottoposto a interventi di demolizione e restauro e ospitò, negli anni Trenta, la Casa del Littorio. Risale al 1972 una nuova fase di restauro conservativo e la nuova, definitiva, intitolazione a Salvador Allende.
Attualmente il Palazzo, che consta di diversi ambienti è destinato ad uso pubblico per manifestazioni e spettacoli con 150 posti a sedere.
tel. 0541 944017 ( telefono della Biblioteca Comunale)
L'attuale Palazzo Vendemini era anticamente inglobato nel tessuto edilizio del castello costruito nel XIV secolo. Quel che si vede oggi è il frutto di una serie di interventi settecenteschi che ne hanno in parte assorbito, modificandoli, edifici preesistenti. Di proprietà della famiglia Vallicelli, di estrazione aristocratica, nella seconda metà del Settecento esso risultava il frutto della fusione irregolare di quattro diversi agglomerati, con una forma austera che rimarcava il distacco stilistico dai circostanti caseggiati abitati da famiglie di estrazione umile. Nell'Ottocento il Palazzo passò di proprietà alla famiglia Vendemini; in questo palazzo videro la luce i fratelli Francesco e Gino, che si distinsero nel panorama savignanese per l'importante contributo apportato alla nascente Accademia dei Filopatridi. Attualmente è di proprietà dell'amministrazione comunale che ne ha curato i restauri del 1990. Palazzo Vendemini è sede della Biblioteca comunale, dell'Archivio storico, dell'Informagiovani e del liscio@museuM (www.lisciomuseum.it)
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La soprano Lina Pagliughi nata a New York nel 1907 da genitori emigrati ed ebbe in Romagna la sua terra d'elezione; romagnolo fu anche il marito: Primo Montanari, suo compagno di vita e di lavoro. Nel 1926 la famiglia lascia l'America e Lina, cresciuta frequentando l'opera, debutta a Milano l'anno seguente al Teatro Nazionale e poi a Torino, riscuotendo un grande successo con la sua "Lucia di Lammermoor". Da quel momento la carriera della soprano sarà costellata da una serie di successi strepitosi,numerosissimi i concerti tenuti sia in Italia che all'estero in trent'anni di carriera. La sala che le è dedicata si compone di un nutrito repertorio di fotografie, oggetti ed effetti personali, dischi e spartiti, articoli di giornale, calcolato in circa temila pezzi lasciato dagli eredi della famiglia di Lina Pagliughi alla biblioteca comunale di Savignano sul Rubicone. Nella medesima sala sono esposti anche una serie di costumi di scena di personaggi prediletti da lei e dal suo amato pubblico: Gilda, Amita, Rosina, ma soprattutto Lucia. La preziosa collezione di dischi, cd e audiocassette messi a disposizione dall'Associazione culturale Amici del Teatro Lina Pagliughi è ascoltabile presso le postazioni pc audio e video della sala pubblica, per la quale è richiesta la prenotazione.
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Realizzata a ridosso dell’antico castello, la pescheria rientra nella serie di interventi di riqualificazione urbana della fine del XVIII secolo quando, come molti altri Comuni anche Savignano si dota di un edificio realizzato appositamente per la vendita del pesce.
Sul fronte viene ricordata la data di edificazione dell’edificio:
FORII PISCARII FRONTEM e la data del 1790.
Recentemente restaurati i locali della stessa ospitano attività legate alla cultura savignanese:
annualmente le esposizioni di Savignano Immagini e, ai piani superiori, la sede di Festivalfoto Portfolio in Piazza e una attrezzata galleria espositiva.
indirizzi internet:
www.savignanoimmagini.it
www.portfolioinpiazza.it
www.xsavignano.it
e-mail info@portfolioinpiazza.it
Il progetto fu iniziato nel 1821 dall’architetto mantovano Leandro Marconi, su incarico del marchese Antonio; in realtà la villa venne terminata solo molto più tardi nel 1845. L’edificio è a pianta centrale su due piani più quello interrato. Elemento dominante è il pronao semicircolare, sorretto da sei colonne doriche. Dal portico si accede al salone circolare, concepito a doppia altezza, attorno al quale Marconi concepisce in modo simmetrico tutto l’edificio. Composto su tre piani, si chiude con la cupola sulla cui sommità si apre il lucernaio conico. La composizione architettonica ricorda la “Rotonda” di Palladio, la cui matrice in Romagna raccolta anche da Giovanni Antonio Antolini nella sua “Rotonda” faentina.
tel. 0541 944817